Uno studio italiano dimostra come questi dispositivi di protezione possano rilasciare nelle acque centinaia di migliaia di microfibre potenzialmente dannose per gli organismi marini

Il consumo di mascherine usa e getta, enormemente incrementatosi in tutto il mondo a causa della pandemia,  determina purtroppo una nuova forma di contaminazione ambientale dovuta al loro smaltimento improprio. Uno studio dell’Università di Milano-Bicocca evidenzia come una sola mascherina sia in grado di rilasciare migliaia di fibre microscopiche estremamente dannose per l’ambiente marino.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Advances, si è basato su esperimenti di invecchiamento artificiale che hanno simulato l’azione degli agenti atmosferici sulla mascherina, in particolare la radiazione solare. Quest’ultima infatti, combinata con l’azione meccanica svolta dal moto ondoso, causa il rilascio delle particelle inquinanti.

I risultati ottenuti tramite tecniche di microscopia elettronica e microspettroscopia infrarossa hanno indicato che una singola maschera chirurgica sottoposta a 180 ore di irradiazione con luce UV-A e agitazione in acqua di mare artificiale può rilasciare fino a 173.000 fibre al giorno, del diametro di poche decine di micron.

Non sono ancora stati individuati gli effetti che queste microfibre possono avere sugli organismi che abitano gli ambienti marini; sono possibili danni paragonabili a quelli causati da altre tipologie di microplastiche, come l’ostruzione in seguito ad ingestione e gli effetti tossicologici dovuti alla veicolazione di contaminanti chimici e biologici.


Fonte: Dimensione Pulito